Sta passando sulla bocca di tutti la notizia che Google si è finalmente attrezzato per concedere agli internauti il diritto all’oblio. Cosa significa? In pratica, il colosso di Mountain view ha reso disponibile un modulo online in cui segnalare le URL che appaiono nelle pagine del motore di ricerca come “contenuti non più rilevanti“.
Dopo la recisione del 13 Maggio della Corte di Giustizia Europea, Google ha offerto la possibilità di cancellare alcuni link dai risultati delle ricerche, ricevendo in un mese più di 50K richieste da analizzare singolarmente.
Per la mole di richieste ricevute, dopo quasi 30 giorni, dall’ultima settimana di Giugno 2014 in poi iniziano a scomparire dai risultati delle ricerche i link dei siti segnalati, ma ovviamente Google non ha l’autorità per intervenire all’interno dei siti quindi sarà una pulizia paragonabile al nascondere la polvere sotto al tappeto.
C’è da interrogarsi sulla cancellazione di informazioni non più condivisibili e analizzare anche eticamente la possiblità di chiusura dei profili social quando, ad esempio, qualcuno muore. Pur non essendoci una normativa aggiornata al mondo digitale, nel trattare questo argomento è possibile riferirsi al Decreto Legge 196 del 2003 e cioè al “Codice in materia di protezione dei dati personali”. Possono intervenire anche i familiari nella cancellazione delle informazioni personali grazie al comma che dice che può avere voce in capitolo “chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione”. In Europa inoltre siamo tutelati da un istituto, l’ENISA, che tutela la privacy e i dati personali, ma come è possibile comunicare con il Customer Care dei social network in questi casi spiacevoli?
Sul social network più usato al mondo è possibile segnalare l’account di una persona morta e tramutarlo in una pagina in suo ricordo accedendo a un form online. Il nickname ritornerà a disposizione dei nuovi utenti, ma i dati personali resteranno di proprietà del defunto. Poco spazio per gli scherzi di cattivo gusto: si rischia il reato di falsa testimonianza.
Siccome in fin dei conti non sono poi tante le persone che ricorrono a questo form c’è da considerare un’agghiacciante statistica: nel 2130 – se Facebook sarà ancora attivo – ci saranno più profili di utenti morti che di utenti vivi registrati al Social Network.
Su Twitter un familiare ha la possibilità di cancellare l’account di una persona scomparsa solo dopo aver presentato un certificato di morte e un documento d’identità che ne dimostri la parentela. Il social dai 140 caratteri disattiverà il profilo dopo 6 mesi. I dati appartengono comunque al primo gestore dell’account. Un nuovo utente potrà prendere il nickname lasciato libero dopo la disattivazione.
Il social network dedicato al mondo del business disattiva il profilo dell’utente solo dopo averne verificato la morte con un certificato. Per sottomettere la richiesta bisogna fornire a Linkedin il nome della persona e la relazione che si aveva con essa, un link al suo profilo, dichiarare presso che azienda lavorava, e indicare anche l’indirizzo e-mail con cui si era iscritto. Il nickname non sarà nuovamente ceduto, ma resterà indelebilmente legato alla persona defunta.
Quelli di Pinterest tengono molto alla privacy tanto da non rendere possibile l’accesso alle informazioni degli utenti che “pinnano”. Ad oggi è impossibile chiedere la disattivazione dell’account della persona defunta. Un motivo in più per creare delle board indimenticabili per bellezza!
Google+
Le cose si fanno più complicate: Google chiede non solo il certificato di morte, ma anche l’intestazione e il contenuto completo di un’email dell’account Gmail dell’individuo in questione. L’username resterà per sempre legato a un’unica persona.
Molti interrogativi restano aperti riguardo alla gestione della privacy e ai testamenti digitali. Voi come vi comportereste?